venerdì 22 febbraio 2019

Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità - Recensione -


Titolo originale: At Eternity's Gate
Paese di produzione: Stati Uniti d'America, Francia
Anno: 2018
Durata: 110 min
Genere: biografico, drammatico
Regia: Julian Schnabel
Sceneggiatura: Jean-Claude Carrière, Julian Schnabel, Louise Kugelberg


Van Gogh è uno dei pittori espressionisti più famosi al mondo, le sue opere sono ricordate e omaggiate ovunque ma quando si cerca di scoprire l'uomo dietro all'artista le cose si fanno molto più difficili (al massimo ci ricordiamo del famoso taglio dell'orecchio e poco altro). Julian Schnabel famoso pittore contemporaneo dedicatesi a partire dagli anni 90 alla cinepresa, con un proprio stile molto personale, e a tratti in controtendenza al concetto di cinema tradizionale si è imbarcato nell'impresa di dare la propria versione sul pittore. Lo stesso suo film si può definire una propria visione dell'artista fiammingo più che una corretta biografia, arrivando ad andare controcorrente accettando una teoria sulla morte del pittore non approvata dagli storici.  

Van Gogh era un pittore decisamente particolare visto che inizialmente i suoi passi si rivolgono verso la carriera di predicatore (andò a predicare nelle miniere belghe), dotato di una profonda cultura sia religiosa che laica (sapeva parlare perfettamente l'olandese, il francese e l'inglese). Arrivato a Parigi ricevette la propria epifania artistica quando in una mostra ebbe la possibilità di vedere alcune stampe giapponesi, che con i loro forti contrasti cromatici lo conquistarono. Van Gogh diverrà un vero e proprio artista maledetto, dotato di una capacità incredibile ma mai compresa dai suoi contemporanei (tranne forse dal suo amato fratello Théo), costellando la sua carriera di tantissimi quadri. Basti solo pensare che nel soggiorno a Arles ne realizzerà duecento tra disegni e acquarelli, ma senza mai ottenere il riconoscimento agognato (in vita riuscirà a vendere un solo quadro a una sorella di un suo amico un anno prima di morire).

Un film che punta sulla riflessione sul concetto di cosa si possa intendere come arte, facendoci esplorare i tormentati stati d'animo dell'artista e  le sue insicurezze (dove spesso capire dove finisca la realtà e dove inizi la follia è praticamente impossibile), il tutto usando uno stile contraddittorio e concentrandosi sugli ultimi anni dell'artista. Un pittore costantemente sull'orlo tra il genio e la follia, ma che sembra farsi anche carico di una misteriosa carica messianica con la sua pittura, quasi fosse sicuro che un giorno ciò che oggi non può essere compreso in futuro ne se ne capirà il vero valore. Allo stesso tempo non si può notare la fragilità di un essere umano che si ritrova schiacciato da una visione fin troppo gigantesca per essere gestita da una persona sola, tanto da cercare costantemente un ancora di sostegno nelle persone a lui vicine (prima nel fratello e poi tragicamente in Gauguin). Un pittore talmente imprigionato dalla forze dei colori (sopratutto dal colore giallo) da non poter tragicamente scampo da tanto splendore.

Schnabel riesce bene a far comprendere lo stato di ansia febbrile di Van Gogh nel cercare di afferrare la propria visione sulla tela, infatti così come il pittore dipingeva con pennellate rapide e decise (Gauguin non a caso lo definisce il suo stile più affine a quello di uno scalpellino che a quello di un pittore), lo stesso fa Schnabel costellando il film di inquadrature rapide e ansiogene, spesso quasi confusionarie e parzialmente sfocate (inizialmente pensavo che il regista volesse far intendere che Van Gogh avesse qualche difetto di vista), per farne comprendere la visione alternativa. Peccato che poi il regista si contraddica spesso, quasi perdesse la fiduccia nella capacità espressiva del proprio stile, e si riduca ad esprimere i propri concetti con monologhi e dialoghi.  
Willem Dafoe nonostante la forte discrepanza anagrafica è semplicemente perfetto per il ruolo, tanto da meritarsi giustamente Coppa Volpi per la migliore interpretazione maschile. 

Peccato per un finale buttato lì senza un reale costrutto e fin troppo didascalistico nella realizzazione per essere apprezzato. 

In definitiva Schnabel non riesce a creare un film perfetto su Vincent van Gogh, ma ne dimostra il genio e su come luoghi e usi del suo tempo possano in parte modificarne il destino.

4 commenti:

  1. Per me è un gran film, che ha trovato in Dafoe il protagonista perfetto e in Schnabel il regista perfetto ... vero, che, in parte, il finale lascia un po' perplessi.

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    1. Benvenuto sul mio blog! Il film di Schnabel è una interessante riflessione sul personaggio e su cosa sia l'arte ma si perde spesso in una insicurezza sul mezzo usato per esprimere il concetto. Il finale è un po' tirato per i capelli sopratutto per una presa di posizione che non sembra convincere lo stesso regista.

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  2. Mi riprometto di vederlo, e mi attira non poco perché è un pittore che adoro.
    Schnabel lo conobbi sui libri di Arte tanti anni fa, all'università, un giovane genio dell'arte contemporanea che mi ha affascinato pure lui. Mi attira proprio l'idea che l'abbia girato un artista.

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    1. Vero, non è cosa comune nel mondo dei film, da qualche parte ho letto che hanno anche uno stile molto simile, con una predominanza del colore giallo.

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