venerdì 13 maggio 2022

The Secret of Monkey Island - I Wanna Be A Pirate! - Recensione -

 

Nel profondo dei Caraibi, l'isola di Mêlée...
Guybrush Threepwood, un giovane aspirante pirata, approda sull'isola di Mêlée per ottenere l'agognato riconoscimento delle sue qualità piratesche. Per riuscirci dovrà affrontare tre prove (che dimostreranno la sua padronanza nell'arte del furto, del combattimento con la spada e ovviamente la caccia ai tesori). Come se non bastasse nel corso della sua avventura troverà nell'ordine: la compagna della sua vita, la bella governatrice Elaine Marley; il suo arcinemico per tutta la serie, il pirata fantasma LeChuck (anche lui invaghito di Elaine) e dovrà prendere parte (volente o dolente) a una serie di avventure pericolosissime. Riuscirà il nostro eroe a coronare il suo sogno di diventare un temibile pirata?

Se sei veramente un temibile pirata puoi sentire il tema del gioco solo guardando questa immagine.

The Secret of Monkey Island è uno di quei titoli che ogni appassionato di avventure grafiche ha provato o perlomeno sentito in qualche occasione. Non solo per la sua storia entusiasmante e divertente (ci sono tutti gli stilemi del genere avventuroso piratesco come: tesori da trovare, navi ed equipaggi da assoldare, riti voodoo da compiere, carismatici antagonisti da battere, romanticismo, isole da esplorare, combattimenti di spade in cui chi vince è il più abile con la parlantina e non quello con la spada, pirati fantasmi e una caterva di elementi comici uno più riuscito dell'altro) ma soprattutto per il suo riuscito game design.  

Mai entrata fu più azzeccata 
Ron Gilbert, Tim Schafer e Dave Grossman infatti decidono di abbandonare le vecchie meccaniche dei giochi punta e clicca del tempo, che tendevano a punire il giocatore quando faceva scelte sbagliate (le classiche morti dei giochi Sierra per esempio), per abbracciare una nuova filosofia dove la sfida è tarata su un livello più onesto, dando al giocatore tutti gli indizi necessari per proseguire nell'avventura e non proponendo mai elementi rigidi e prefissati con ordine maniacale (tali che se non fatti nel giusto ordine portavano il personaggio in un vicolo cieco dove l'unica uscita è il caricamento dei salvataggi, sempre se si è avuto l'accortezza di farli prima). 

Il risultato è un gioco che stimola il giocatore ad andare avanti, dandogli obbiettivi chiari (in questo caso diventare un pirata), ogni nuovo enigma risolto (le sottomissioni) è un tassello aggiuntivo per portare avanti la storia. Addirittura viene lasciata ampia liberta al giocatore su quali obbiettivi portare prima a conclusione (le tre prove per esempio possono essere risolte nell'ordine che si preferisce). La stessa morte del protagonista viene eliminata o meglio ridotta ad un piacevole effetto collaterale in una scena (ma solo se ricordate una delle affermazioni strampalate del protagonista). 

Esiste qualcosa di più dolce?
Alcuni apparenti limiti del motore di gioco come la ripetitività dei dialoghi diventeranno fonte di nuove trovate a livello di meccaniche, come l'estenuante confronto affaristico con Sten (il mitico e strampalato venditore di vascelli usati) per ottenere il mezzo per che ci permetterà di raggiungere la nostra nuova meta. Oppure chiedere con tutta la gentilezza di questo mondo a un testa essiccata di darci la sua collana dell'invisibilità.  Anche se l'apice si raggiungerà con i mitici duelli ad insulti, dove a forza di duelli, dovremo apprendere tutti i più lerci e scorretti modi di dire per diventare la lama (o meglio la lingua) più affilata dei sette mari.

L'idea dei combattimenti a insulti venne a Gilbert grazie a un corposa visione di film di cappa & spada, dove notò che i combattimenti erano decisi più dalle battute ad effetto che dalle reali abilità dei contendenti.

A livello grafico Monkey Island è un piccolo gioiello, che sa premere perfettamente ogni singolo pixel delle sue schermate da 320x200. Basti pensare ai meravigliosi primi piani, di qualità eccelsa. 

Quello che mi piace di The Secret of Monkey Island è la sua riuscita autoironia, sia per le meccaniche interne del gioco (il pollo di gomma con la carrucola in mezzo che praticamente non ha uno scopo nel gioco ma che ne diventerà paradossalmente l'emblema, sia per un personaggio protagonista che pur con tutta la volontà del mondo non ha per niente l'aria del temibile pirata (nel secondo capitolo la cosa avrà una parvenza di spiegazione). Oppure cliccando su un determinato ceppo d'albero nella foresta Guybrush afferma di vedere un "intero sistema di catacombe", ma appena si proverà a infilarsi verrà mandato il messaggio "INSERISCI IL DISCO 22 PER CONTINUARE", cosa che all'epoca mandò in crisi tantissimi giocatori, convinti di avere una edizione fallata del gioco o che la propria copia non acquistata in modo propriamente legale mancasse di un pezzo (il realtà era tutto un scherzo dei programmatori, anche se poi l'idea delle catacombe venne ripresa nel terzo capitolo).

Facile capire perché è un titolo tanto amato dai giocatori del periodo e di quei fortunati che in qualche momento della loro esistenza si sono messi nei panni di Guybrush Threepwood. Catturati da un mondo piratesco ma allo stesso tempo moderno, dove i giochi di parole e le battute salaci sono la normalità, e l'avventura (per quanto strampalata) non manca mai.


Il primo Monkey Island è un titolo con una storia semplice e dei personaggio se possibile ancora più basilari (tanto che del nostro temibile pirata prima della sua comparsa sull'isola non sappiamo nulla) ma che alla fine funzionano alla grande (merito di una ottima caratterizzazione visiva, che lascia al giocatore la possibilità di immaginare molti dettagli della storia, soprattutto per quanto riguarda il malvagio LeChuck). Il nome del luciferino pirata deriva da una sfida che l'allora presidente della Lucas lanciava a Ron Gilbert, quello di mettere il proprio soprannome (CHUCK) in ogni gioco dove lavorava. Grazie a questa sfida il nostro eroe probabilmente si è ritagliato inavvertitamente un posto nell'olimpo dei giochi.

Grazie anche a una attenta e ben realizzata storia, che sapientemente mischia umorismo e tocchi di orrore, finisce per trascinare il giocatore e spingerlo ad andare avanti per sapere in quale assurdo casino si butterà il nostro eroe per risolvere un problema (per esempio catapultarsi in una breve quanto remunerativa carriera nel circo). Spesso giocando con le aspettative del giocatore (basti guardare il finale, che stravolge il ruolo da eroe del nostro protagonista e da una luce diversa e accattivante all'unico personaggio femminile del gioco. Per non parlare del fatto che mette alla berlina il piano diabolico del cattivo). 


Il gioco nella sua prima versione può essere ormai giocato anche sui tostapane, visto che richiede dei requisiti per gli standard attuali veramente bassi; qualsiasi cellulare o tablet lo eseguirà senza problemi (magari può essere difficoltoso usare i comandi a verbi e trovare alcuni elementi sullo schermo con i comandi touch, ma nulla di insormontabile). Ovviamente tutto il gioco è tradotto completamente in italiano. 

le due versioni a confronto
Ormai da più di un decennio è disponibile la versione remake del gioco, con aggiunta dell'audio doppiato per i dialoghi (ma solo in inglese, mentre i testi per la sola versione remake hanno la lingua italiana), musica rivista e una grafica rivista per l'occasione (abbandonando lo stile pixelloso dell'originale per adottare uno stile leggermente fumettistico. Forse con l'intenzione di trovare un punto di unione con il terzo e quarto capitolo). Il risultato è veramente riuscito, riuscendo a traghettare il vecchio capitolo verso gli scintillanti e performanti schermi moderni, anche se con qualche piccolo passo falso (la rigidità generale dei modelli e lo sguardo catatonico dei primi piani dei personaggi, che non reggono il confronto con la versione originale). Carina la possibilità di scambiare grafica e comandi da quello moderno (che semplifica tutto lo schema dei verbi con un puntatore che tramite il movimento della rotella centrale del mouse permette di cambiare verbo) a quello classico con la semplice pressione di un tasto. Peccato che questo sia stato l'ultimo tentativo della LucasArts prima del suo fallimento di rilanciare/omaggiare un genere che per un decennio è stato il suo cavallo da battaglia, tentativo fermatesi purtroppo con il secondo capitolo (lasciando il terzo e quarto capitolo della saga monchi di strumenti che li rendano adatti alle nuove macchine moderne).

L'unica regola che un vero e temibile pirata dovrebbe rispettare

E voi cosa state aspettando prima di imbarcarvi e diventare a vostra volta dei temibili pirati?

9 commenti:

  1. Dritto al cuore. Quante ore ho giocato a questo gioco, imparando botta e risposta nei duelli di spada, ancora oggi penso sia il mio videogioco preferito, avrei sempre voluto diventare un temibile pirata, con Guybrush ci sono riuscito, grazie per il bellissimo post ;-) Cheers

    RispondiElimina
    Risposte
    1. È una delle avventure grafiche più belle mai create. Soprattutto per sapiente mix di ironia, avventura e orrore. Poi tu sai quanto possa mandarmi in solluccheri l'ambientazione pirata.

      Elimina
  2. Quando esce (e compro) quello nuovo mi rifaccio tutto il giro ;)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Fai benissimo. Un ripasso è d'obbligo, anche se credo che Gilbert non considererà il quarto e quinto come canonici nel suo universo (il terzo da quello che si è capito per qualche elemento sì)

      Elimina
  3. Ne avevo sentito parlare. Ottima analisi complimenti.

    RispondiElimina
  4. Beh, al tempo un po' tutti ci siamo infognati con questa saga.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E oggi siamo pieni di citazioni e battute sul gioco in altre avventure grafiche (era quasi diventato un obbligo).

      Elimina
  5. Ho amato profondamente questo gioco, non vedo l'ora che arrivi il seguito!

    RispondiElimina